L’Alto Adige non è un’Isola Felice

Open Democrat entra nel nuovo anno e lo fa con una bella novità. Da oggi, il nostro sito ospiterà periodicamente spazio per interventi, opinioni, visioni. Con un mix di personalità, ruoli, età diverse. Un vivace coro di voci della nostra società altoatesina. Noi proveremo a raccoglierle e a condividerle con voi. Perché conoscere è il primo passo per costruire il futuro. La prima voce è quella di un giovanissimo democratico, 18 anni, Domenico Nunziata: frequenta il liceo classico, è prossimo alla maturità e con molta maturità ci racconta qui il „suo“ Alto Adige.

Arrivai in Alto Adige a dodici anni e molti già si fermeranno qui, perché nessuno avrà di certo piacere nel leggere i fatti di un diciottenne che scrive su un blog impegnato nella cosa pubblica, che forse dovrebbe già farci fiutare che non abbia la ragazza. Per gli altri temerari: la prima cosa che visitai, dopo il proverbiale saluto ai due monumenti di Bolzano: Walther e l’Arco, fu la mia nuova scuola media, che attraverso tutta nella sua interezza, scorgendo cose che non sto neanche a raccontarvi. La vicepreside della scuola esordisce con: „L’Alto Adige è un’isola felice.“ Che somiglia tanto a „Siamo tutti una grande famiglia“, per poi ricordarsi che i delitti più efferati avvengono tra le persone con cui abbiamo condiviso per anni lo stesso water.

La frase della vicepreside mi lasciò di stucco già allora ma un ragazzino che viene da un paese di mille anime nella Terra dei Fuochi, non ci sta a pensare su troppo, è troppo affascinato dall’ambiente cittadino. La retorica dell’Isola Felice non mi abbandonerà mai e non si scollerà di certo dall’Alto Adige, perché al suo interno, la perifrasi, contiene una certa verità. La parola Isola non è una scelta casuale ma forse proviene da una certa attitudine degli abitanti altoatesini a rinchiudersi su se stessi in un’assuefazione autonomista, che rende l’Alto Adige (o Sudtirolo) un mondo a se stante, che vorrebbe essere diverso ma uguali agli altri, un po‘ come il PCI degli anni di piombo.

La visione è ristretta, non guarda ad allargare i confini, metaforici e non, ma a preservare lo status quo, perché a quanto pare è sembrata, da immemore tempo, una strategia vincente, secondo la classe politica altoatesina. Intanto però crescono i partiti di estrema destra, che si rifanno al terrorismo dei Bombenjahre, e dall’altra i fascisti di Casapound.
Ma dalla regia sento che la strategia funziona lo stesso.
Bene ma non benissimo.

Ma se questa terra, così sbagliata ma così piena di potenzialità, di menti creative, potesse anche solo pensare di avercela, una visione per il futuro, si potrebbe creare veramente un posto Felice, basta che non lo si chiami Isola, che non diventi poi quella di Lost.
Il progetto Euregio, ovvero la collaborazione tra Alto Adige, Trentino e Tirolo, può essere un segnale positivo, che viene soprattutto dagli altoatesini più giovani, quando ogni anno si tengono le giornate dello JugendFestival. I tavoli di lavoro sono itineranti, ognuna delle tre giornate si svolge in un luogo diverso, una per regione. Ma ogni anno si vedono il bisogno e la necessità umana del confronto e della competizione, intenso però come agòn, quello greco. La parola indica la volontà di misurarsi con gli altri e con se stessi, per migliorare le proprie capacità, per il bene comune, che non è sempre quello di vedere chi ha la testata missilistica più grossa, come piace al piccolo satrapo del trentaquattresimo parallelo, Kim Jong Un.

L’unica soluzione convincente che possa aprire le porte a un progetto comune, più che regionale o nazionale, quanto europeo, è quello di svegliarsi dal torpore e dall’assuefazione degli ormai lontani Los von Rom e Los von Trient, dalla chiusura a Bolzano come effettivo capoluogo, al volgere uno sguardo anche sopra il Brennero, sopra al confine, oltre la frontiera. Soprattutto bisogna ricordare agli altoatesini che c’è vita oltre i meleti e le grandi vallate e le insormontabili e bellissime montagne che ci circondano. Chiudere a priori le possibilità del cambiamento è un segnale di depressione e sconfitta, invece una terra così ricca di risorse, in potenza, non in atto, potrebbe pensare di avere l’imperativo morale di fare di più, come a Natale ci dice la pubblicità della Bauli.

La posizione strategica che occupa il territorio, tra Italia e Austria, al centro dell’Europa, ci colloca in una situazione di centralità geografica invidiabile ma poco sfruttata.
La miopia dilaga ovunque e uno con un occhio solo in un mondo di ciechi può sempre sembrare un genio ma l’Alto Adige non dovrebbe badare a chi offre soluzioni a breve termine o a chi somministra la solita ricetta.
Servono idee diverse, da persone diverse e con obiettivi differenti, migliori.
Per risolvere un problema bisogna riconoscere che c’è uno: L’Alto Adige non è un’Isola Felice.