Autonomia a chi?

Nach Domenico Nunziata freuen wir uns, nun einen zweiten Artikel zu Südtirols Lage und Zukunft veröffentlichen zu dürfen. Es ist Alex Castellano, Präsident des Bozner Stadtviertels Don Bosco, der uns seine Sicht auf unser Land darlegt.

Pur consapevole di poter difficilmente dare lezioni di memoria storica o contribuire con voce autorevole ed illuminata al dibattito sul futuro di questa nostra bella Provincia, ho accettato di offrire un mio punto di vista sull’Alto Adige e sulla sua Autonomia. Premetto subito che non è facile trattare di un tema così cruciale per la nostra terra quando si ha appena iniziato a muovere i primi passi fuori dall’ambiente scolastico e universitario. Per la verità, la pretesa di dire qualcosa in proposito risulta essere ancora più paradossale se penso a quanto la parola “autonomia” sia lontana dagli attuali destini della mia generazione: Noi che a 20-25 anni siamo abituati a viaggiare e girare il mondo con un click, ma viviamo ancora perlopiù a casa con i genitori; noi che seguiamo (ognuno coi propri ritmi) un corso di studi che non si sa dove ci porterà e nel frattempo rincorriamo l’ennesimo lavoretto a chiamata o a tempo determinato che ci permetta almeno di uscire a bere qualcosa con gli amici.

Come può quindi un ragazzo di questa generazione emblema della precarietà e del disorientamento pretendere di parlare di autonomia, soprattutto se con la A maiuscola?

In linea di principio, il quadro dipinto dalla mia introduzione – non proprio incoraggiante a dir la verità – dovrebbe farmi desistere da qualsiasi tentativo in questo senso o farmi apparire assai poco titolato per buttarmi in un discorso così ampio. Tuttavia la combinazione piuttosto favorevole scaturita dall’art. 21 della nostra bella Costituzione e la gentile insistenza dello staff di Open Democrat garantisce anche a me il lusso di poter esprimere la mia opinione in proposito.

Una considerazione va fatta innanzitutto: l’Autonomia fino ad ora ha dato tanto a questa terra, è innegabile. In molti ambiti e in molte statistiche la Provincia di Bolzano svetta o è lì a contendersi i tre gradini del podio, tanto da essersi ormai guadagnata una certa ammirazione, per l’aura di beatitudine di cui gode nell’immaginario collettivo italiano, nonché numerose (e aspre) invidie. Nonostante tutto però ho la sensazione che, al di fuori degli indicatori e delle classifiche, questa Provincia stia ancora cercando la propria identità e che questo le impedisca di mettere a frutto tutto il potenziale di cui dispone. E’ impossibile ad esempio non notare l’estemporaneità di alcune polemiche che in questi mesi hanno infiammato le pagine dei giornali (compensi, celebrazioni più o meno controverse, toponomastica, statuette volanti…) oppure la sostanziale diffidenza e/o indifferenza riservata a Bolzano da parte di una certa politica provinciale.

Il capoluogo è forse l’emblema di questa situazione di stallo e smarrimento. Il successo in rete di una certa retorica sicuritaria; l’avversione di alcuni famosi imprenditori locali verso grandi opere e ingerenze straniere; le polemiche di stampo etnico riguardo ad alcuni simboli del passato; la difficoltà nell’affrontare un fenomeno epocale come l’immigrazione: tutti questi non sono altro che sintomi di una forte crisi d’identità che sta attraversando la Provincia di Bolzano e che si riflette con maggiore forza ed evidenza sul centro cittadino più popoloso dell’Alto Adige. Dopo decenni di torpore e di calma apparente, Bolzano si è dovuta svegliare dal sogno dell’”Isola felice” e si è scoperta impreparata alle sfide della globalizzazione. Ha dovuto riconoscere di essere sì speciale, ma non per questo invulnerabile e impermeabile al contesto globale. Autonoma quindi, ma non indipendente o autosufficiente.

E’ quindi in questa fase di maggiore difficoltà che Bolzano e la sua Provincia devono trovare la forza per evolvere la propria Autonomia ed attualizzarla. Da bolzanino di nascita, amministratore di un piccolo grande quartiere quale è Don Bosco, ma soprattutto da giovane cittadino non posso che sperare che il rinnovamento passi anche dalla caduta di alcuni artifici che permeano e indeboliscono questa Autonomia. Tra questi non posso non citare strumenti o istituzioni quali la dichiarazione di appartenenza linguistica, la proporzionale o la divisione su base linguistica delle scuole. Se davvero si vorrà mettere a frutto il potenziale di questa terra e darle competitività internazionale questi retaggi del passato dovranno essere archiviati e dovrà essere restituita la centralità al merito e alle competenze, linguistiche e non solo. Sarà necessario mettere da parte l’ossessione di preservare artificialmente la propria rispettiva identità e comprendere che il famoso postulato di Lavoisier non si applica solo alla fisica. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, pure la cultura e le tradizioni. L’identità altoatesina, o sudtirolese che dir si voglia, non ci è stata donata da un qualche dio e non saranno certo artificiose divisioni o etichette che potranno “proteggerla” dal cambiamento. Questo cambiamento avverrà e sta già avvenendo comunque. Sta a noi capire che anche per l’Alto Adige e la sua Autonomia è arrivata l’ora di mettersi in cammino, di crescere e di maturare.

Io intanto provo a consolarmi: In fondo, se l’Autonomia altoatesina, coi suoi 45 anni di età, non ha ancora trovato la sua strada, io che ne ho poco più di venti non dovrei preoccuparmi tanto, no?

Alex Castellano